Verso un Nuovo Romanticismo?
In Ritorno al futuro - Parte III, quello ambientato nel Far West, c'è una scena che mi ha sempre colpito. Doc, disperato per aver perso l'amore della sua Clara, annega la tristezza in un saloon. Apparentemente ubriaco, infrange la regola d'oro e racconta a dei vecchi bifolchi come sarà la vita nel 1985.
Doc: "... e nel futuro non ci serviranno i cavalli. Abbiamo delle carrozze motorizzate chiamate automobili."
Vecchio: "Ma se tutti nel futuro hanno queste automobi - come si chiamano - ma allora la gente non cammina e non corre più!"
Doc: "Certo che corre. Ma per divertimento, per spasso"
Vecchio: "Per spasso? Ahah! Ma che razza di spasso sarebbe? Ahahahah!"
Come sempre, la Saga non critica lo spettatore, ma lo fa ridere di se stesso. Il messaggio però arriva forte e chiaro: la tecnologia ci ha resi dei poltroni. Azioni un tempo necessarie e normali, come camminare e correre, senza che ce ne accorgessimo si sono trasformate in piaceri, quasi in vezzi.
Nella sua semplicità, la scena riassume il grande paradosso del progresso tecnologico. Che riguardi i trasporti, l'informazione o l'intrattenimento, questo nasce con l'intento di semplificarci la vita, liberarci da fatiche inutili, espandere il nostro tempo libero. Allo stesso tempo, però, finisce per cambiare le nostre abitudini in un modo (solo apparentemente) inevitabile. Oggi, ad esempio, iperconnessione e misurabilità delle performance ci portano ad essere sempre “sul pezzo”.
Dalle relazioni sui social si passa allo scrolling infinito, dal rilassarsi guardando una serie tv al binge-watching, dalla possibilità di lavorare da remoto ad un estenuante multitasking.
Con l'arrivo dell'AI e degli algoritmi, questa tendenza ha accelerato ulteriormente. Tanto che, sempre più critici sostengono che questo eccesso di razionalismo darà vita ad una reazione: un Nuovo Romanticismo. Anche il Romanticismo dell’800, del resto, nacque proprio in contrapposizione all’Illuminismo e alla Rivoluzione Industriale, opponendo sensibilità, emozione e individualismo al razionalismo e al progresso meccanico.
Dobbiamo davvero aspettarci il ritorno di un fenomeno culturale simile?
I segnali, c'è da ammetterlo, non mancano.
Siamo stanchi dell'iper-connessione
Viviamo in un’epoca in cui la tecnologia permea ogni aspetto della nostra vita: dall’intelligenza artificiale ai social media. Che sia per lavoro o per svago, non utilizzare questi strumenti significa vivere in un universo parallelo rispetto a chi lo fa. Viaggiare a piedi quando gli altri usano l'aereo. Tuttavia, sempre più persone avvertono una sorta di alienazione digitale e cercano di disconnettersi, riscoprendo esperienze più autentiche, come la lettura su carta, la scrittura a mano o la fotografia analogica.
Quanti di noi hanno sperimentato i benefici della vita offline, anche solo per qualche ora o qualche giorno? Giusto il tempo di mandare lo smartphone in riparazione. Quanti post e articoli sul web ci invitano (paradossalmente) a cancellare i nostri profili social?
Cerchiamo natura e minimalismo
Il Romanticismo storico esaltava il contatto con la natura come antidoto all’industrializzazione e al grigiore tipico delle città invase dai primi stabilimenti produttivi e dalle prime locomotive a vapore. Poeti come Lord Byron e Percy B. Shelley vedevano la natura come uno specchio della propria anima o come una forza trascendente, capace di ispirare e trasformare il mondo. Allo stesso modo, oggi tutti parlano di ecologia, minimalismo e ritorno a uno stile di vita più lento. Slow living, slow food, ricerca dell'autenticità sono concetti che chiunque, in fondo, condivide. Fuggiamo dalle città, alla ricerca di spazi incontaminati che riflettano questa stessa esigenza di libertà e autenticità. Poi, però, non possiamo fare a meno di tornare.
Amiamo la spiritualità
Oggi persino l'attività fisica e il tempo libero passato sui social vengono attentamente monitorati e misurati da algoritmi e statistiche, con lo scopo di renderci più efficienti. In tutta risposta, cresce il bisogno di esperienze più profonde, di introspezione e di connessione emotiva. Non a caso, la meditazione e la terapia psicologica stanno entrando a far parte della vita di molti di noi. L’eccesso di razionalizzazione coincide con un senso di vuoto esistenziale. Questo perché la scienza e la tecnologia offrono strumenti incredibili, ma non danno significato a ciò che facciamo. Ecco spiegato l'enorme ritorno di interesse per il mito, la spiritualità e le filosofie orientali.
È un'epoca di revival
Il Romanticismo si nutriva, infine, di una forte nostalgia per il passato, e noi non siamo certo da meno. Oggi assistiamo a un forte revival di altre epoche storiche, come quella vittoriana o il Medioevo, al centro di serie tv, libri e giochi di ruolo fantasy. Anche estetica e sonorità degli anni '80 hanno vissuto un periodo di gloria sulla scia di fenomeni come Stranger Things e di un ritorno prepotente dell'elettronica in ambito musicale. Parallelamente, è esplosa una nostalgia infinita per il periodo compreso tra la fine degli anni '90 e i primi 2000. Quello della fine dell'epoca analogica e dell'arrivo dei primi cellulari. Un mondo più lento, prevedibile e forse (si favoleggia) spontaneo.
Ma non è così semplice...
Insomma, manifestiamo davvero tutti quei sintomi che potrebbero far pensare alla nascita di un Nuovo Romanticismo. C'è, però, un grosso MA. Ovvero che li manifestiamo come mali di natura psicosomatica. Come chi ha delle forti emicranie non per motivi fisiologici, ma a causa dello stress psicologico. Non associamo direttamente l'amore per la natura o la ritrovata passione per la fotografia analogica all'iperconnessione o al razionalismo impostoci sul lavoro e nel tempo libero. Ci viene naturale agire in questo modo, ma non sappiamo il perché. Fanno parte, direbbe Carl Gustav Jung, del nostro inconscio.
"Fino a quando non renderai conscio l'inconscio, sarà quest'ultimo a dirigere la tua vita e tu lo chiamerai destino."
Carl Gustav Jung
Questo rende i nostri slanci verso spiritualità, creatività e natura dei semplici diversivi, al limite degli hobby. Non li contrappone a quel sistema che ne è la causa, ma al contrario li integra nello stesso. Come già descritto da Mark Fisher, anche le forme di ribellione o fuga dal sistema vengono oggi riassorbite e trasformate in prodotti ed esperienze preconfezionate, pronti da vendere.
I desideri di una vita più autentica e di minimalismo diventano, così, business per i consulenti di decluttering o fanno vendere a milioni i manuali di Marie Kondo. Anche la necessità di un'esistenza più lenta e più vicina alla natura viene commercializzata attraverso esperienze turistiche ben organizzate da tour operator o agenzie di viaggi.
Prodotti “genuini”, che ci ricordano un mondo più semplice, vengono venduti in stock nei supermercati. E narrazioni che romanticizzano il passato diventano spot pubblicitari perfetti per serate con musica anni '90.
Il Nuovo Romanticismo resta (direbbe il sociologo Jean Baudrillard), solo un simulacro di quello che potrebbe essere. Una rappresentazione del vero Romanticismo, di una vera reazione.
O per lo meno fino a oggi.
L'azione sempre più pervasiva dell'AI e l'approccio iper-performativo hanno il difetto di rendersi insostenibili anche da soli, in maniera quasi naturale. Potrà non essere un Nuovo Romanticismo ad invertire il trend, ma è indubbio che questo cambiamento ci sarà: anche solo per amore della tanto osannata produttività. Spremuti oltre ogni limite, anche i migliori atleti finiscono per sottoperformare.