Da individui a società, ma chi ci tiene insieme?

È incredibile come, a volte, i classici siano in grado offrirci spunti sorprendentemente attuali. Incuranti del passare del tempo, osservazioni e considerazioni formulate alcuni secoli fa si rivelano perfettamente spendibili nel mondo di oggi: talvolta diventando ancora più calzanti.

Ci pensavo giusto alcuni giorni fa, quando, sfogliando un manuale di sociologia, mi sono imbattuto in questo piccolo elenco di problematiche sociali, messe nero su bianco come fossero dei sintomi:

  1. Indifferenza verso la cosa pubblica

  2. Conformismo

  3. Potere incontrollato nelle mani di pochi

Ora, non occorre certo essere dei disfattisti per scorgere in queste righe alcuni dei mali del nostro tempo. Anche il più inguaribile ottimista si sarà accorto del crescente astensionismo alle elezioni politiche, delle decine di storie tutti uguali postate sui social o per lo meno della recente sfilata degli uomini più ricchi del mondo all'inaugurazione del neo presidente degli Usa Donald Trump. Eppure, questo elenco di rischi legati alla modernità non è frutto di una complessa indagine statistica, né tantomeno dell'incrocio di variabili comportamentali da parte dell'intelligenza artificiale. Ad identificarli è stato, infatti, il visconte Alexis De Tocqueville nella prima metà dell'Ottocento. Sociologo ante-litteram, questo studioso francese si chiedeva – come tanti hanno fatto dopo di lui – come potesse sopravvivere la società di fronte al crescente individualismo tipico del mondo moderno.

In un sistema democratico ed egualitario - in cui non ci sono più vincoli legati alla classe sociale, alla tradizione familiare o al luogo di nascita - , cosa tiene insieme noi individui dalle possibilità e dalle ambizioni sconfinate?

A due secoli di distanza, resta una domanda da un milione di dollari: specie se si pensa alla sfiducia nella società che molti oggi sventolano come una bandiera. Qualche decennio dopo Tocqueville, Emile Durkheim avrebbe provato a rispondere al quesito introducendo concetti come la coercizione o il sacro all'interno della società, mentre Max Weber si sarebbe concentrato sulla burocrazia e la razionalità dell'azione, ponendo le basi per la moderna sociologia. Tocqueville, al contrario, cercò una soluzione guardando agli Stati Uniti. Ancora lontani dall'essere la principale potenza mondiale, questi possedevano già una caratteristica estranea all'universo europeo: erano una solida democrazia.

Nella maggior parte delle nazioni europee la vita politica è nata negli strati superiori della società e si è trasmessa poco per volta, e sempre in modo incompleto, alle diverse parti del corpo sociale. In America, al contrario, si può dire che il Comune è stato organizzato prima della Contea, la Contea prima dello Stato e lo Stato prima dell'Unione”.

Gli americani, insomma, sono da sempre iper-frammentati. Non solo. Possono anche considerarsi i più grandi individualisti della storia, vista la convinzione con cui idolatrano il cosiddetto “self-made man”. Ciò nonostante, la loro democrazia non è in dubbio. Un bel mistero.

Per rispondere, Tocqueville individua nella società americana dell'Ottocento tre antidoti (a suo avviso) infallibili ai mali sociali da cui siamo partiti:

  1. Religione

  2. Associazionismo

  3. Giornali

La prima, spiega lo studioso, fornirebbe alla società un codice morale unico, il secondo avrebbe il pregio di mettere insieme gli interessi dei singoli, con la carta stampata che provvederebbe a farli conoscere al resto del Paese.

Purtroppo qui, almeno col nostro sguardo moderno, casca l'asino. Religione e associazionismo, lo sappiamo, non sono certo i baluardi della società del terzo millennio. Solo per rimanere in Italia, i giovani attivi in associazioni civiche e politiche sono in netto calo, per non parlare di coloro che si definiscono religiosi praticanti.

Neppure i giornali se la passano bene, è vero. Ma stando alla definizione di Tocqueville, forse, possiamo assimilare la carta stampata dell'epoca ai media di oggi, con social network e digitale che in effetti hanno un ruolo esponenzialmente più grande nelle nostre vite rispetto a quanto non avessero per i nostri antenati nell'Ottocento.

È lecito, dunque, pensare che siano proprio i tanto vituperati media a tenere su la baracca? Può sembrare immediatamente un paradosso, visto l'effetto divisivo che siamo abituati ad attribuire tanto ai giornali, quanto ai telegiornali e alle pagine web.

Esiste perciò un rapporto necessario tra associazioni e giornali: i giornali fanno le associazioni e le associazioni fanno i giornali (…) . Così l'America è il Paese del mondo in cui si trovano il maggiore numero di associazioni e insieme il maggiore numeri di giornali”.

Eppure le innumerevoli nicchie presenti all'interno dei social network hanno più di qualche tratto in comune con questo sistema giornali-associazioni di Tocqueville: se non altro, il fatto di unire tante disparate comunità che un tempo non esistevano (come ad esempio i cosplayer), erano considerate devianti (vedi il mondo Lgbt), oppure utilizzavano altri mezzi (vedi noi lettori di siti e pagine web).

A mancare, tuttavia, è forse un punto d'incontro tra tutte queste realtà. E innegabile che, da Instagram a TikTok, passando per Facebook e X, molti individui si uniscano sul web. Il più delle volte, però, danno vita a realtà più simili a bolle (per quanto ricche e interessanti) che a vere e proprie associazioni pronte a discutere e negoziare i propri interessi. Lo testimonia il fatto che, a differenza di quanto facevano i giornali secondo Tocqueville, i social network possiedono raramente il pregio di farci guardare al di là del nostro naso o interesse personale.

Arrivati a questo punto, il dubbio sorge naturale. È Tocqueville ad aver sbagliato a identificare gli antidoti contro l'individualismo o piuttosto sono questi ad essere venuti meno nei secoli? Qualunque sia la risposta, è difficile negare che le principali conseguenze di questa evoluzione siano proprio quelle descritte così lucidamente dal pensatore francese e da cui siamo partiti, ovvero l'indifferenza verso la cosa pubblica, il conformismo e il potere incontrollato nelle mani di pochi.

Nonostante tutto il dubbio resta e, anzi, si rafforza fino a farsi inquietante.

“Se in mezzo a questo universale scardinamento, non giungete a legare l'idea dei diritti all'interesse personale, che s'offre come il solo punto immobile nel cuore umano, che cosa vi resterà, dunque, per governare il mondo, se non la paura?

In altre parole: se il legame tra la società e l'individuo non sarà rinsaldato, cosa ci terrà insieme? Cosa manterrà l'ordine sociale? La sola paura di ritorsioni per chi trasgredisce alla legge?