Here, l'importanza di essere Qui (ed ora)

Tutti i problemi dell’uomo derivano dal non saper restare tranquilli in una camera. Un uomo che ha abbastanza per vivere, se sapesse restare in casa con piacere, non ne uscirebbe per navigare o per correre all’assedio di una fortezza”

Blaise Pascal (I Pensieri, 1670)

Uscendo da un affollatissimo cinema del centro, sono circondato da un mare di occhi lucidi. E certamente c'è anche chi già raccoglie le idee per criticare la pellicola al meglio, sulla strada di casa. Quello che manca sono, invece, le facce indifferenti: segno che Here, diretto da Robert Zemeckis e interpretato da Tom Hanks e Robin Wright, racconta qualcosa di universale, oltre che fortemente emotivo. Eppure lo fa in modo essenziale: tanto che, se mi chiedessero di riassumere la trama, direi che in fin dei conti è un film che descrive la nostra relazione con lo spazio e il tempo della nostra vita. Troppa carne al fuoco? Andiamo con ordine.

C'è il qui, Here appunto. Un'inquadratura fissa, che mostra l'evolversi dello stesso identico scorcio nel corso dei millenni. Un luogo che da sempre, scopriamo, è stato chiamato casa: dai dinosauri fino ai giorni nostri, passando per le antiche popolazioni indiane, i tempi di Thomas Jefferson e la prima metà del '900. Protagonista, per gran parte del film, è una famiglia come tante: gli Young. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, questi mettono radici proprio davanti alla “nostra” telecamera, in quello che, ora, è diventato il salotto di una grande casa. Ci affezioniamo, così, alla giovane coppia formata da Al, reduce della Seconda Guerra Mondiale, e sua moglie Rose. A cui, col passare del tempo, si aggiungono anche il figlio Richard (Tom Hanks) e la moglie Margaret (Robin Wright). Una famiglia allargata che, proprio come tante altre, vive i propri alti e bassi, i propri lutti e le proprie gioie: il tutto, sempre nella stessa grande casa.

Uno schema che più lineare non si può, ma che nonostante ciò – e sta qui la grandezza del soggetto del film (in realtà frutto di una graphic novel di Richard McGuire) - non stufa mai lo spettatore. La pellicola è, infatti, un continuo susseguirsi di presenti diversi e successivi tra loro, in cui non possiamo che empatizzare con la storia. Frammenti che, proprio perché simili ai ricordi familiari che tutti noi abbiamo, suscitano emozioni forti. A stufarsi di stare Qui sono, semmai, i protagonisti stessi. Le famiglie si allargano, i figli crescono, i rapporti si consolidano. E, certo, c'è anche qualche immancabile qualche momento no. Ma quando gli Young si lamentano, litigano e spingono per andarsene dalla loro grande casa, lo spettatore è quasi stranito. Vorrebbe trattenerli. Dire loro che è solo Qui che sono stati felici. Che è Qui che devono restare. Tutto questo avviene nel momento in cui entra in gioco il tempo, in particolare quello psicologico.

La vita degli Young, per quanto semplice e imperfetta, è sempre apprezzabile nella sua istantaneità: persino quando c'è un litigio, un malore o un lutto, tutto si risolve in modo naturale. È solo quando i personaggi si inseriscono in un quadro temporale a lungo termine che la situazione precipita. Preoccupazioni economiche per il futuro, ambizioni non soddisfatte e bilanci morali rendono i tanti momenti di cui è fatto il film un flusso di tempo lineare. Il classico “corso della vita”, con cui siamo abituati a considerare anche le nostre esistenze. È qui che emerge la componente drammatica del film (e per lo spettatore, che si rivede nei protagonisti). Da questo momento in poi, infatti, diventa quasi insostenibile vedere i personaggi fare carte false per sfuggire al Qui (e ora, verrebbe da aggiungere), col risultato di diventare spesso infelici e frustrati, seppure perfettamente realistici visto che anche noi facciamo lo stesso.

La maggior parte delle persone vive una vita dominata dal desiderio e dalla paura. Il desiderio è il bisogno di aggiungere qualcosa a voi stessi per poter essere voi stessi più pienamente. Tutte le paure sono la paura di perdere qualcosa e quindi di sentirsi sminuiti e di essere di meno. Questi due movimenti oscurano il fatto che all’Essere non si può dare né togliere

Eckhart Tolle (Il potere di adesso, 1997)

Accade così che Richard, da ragazzo un pittore di talento, rinunci al suo sogno per la paura di non arrivare alla fine del mese in seguito alla nascita della figlia. Nei suoi quadri era solito ritrarre attimi di vita quotidiana, come il proprio salotto al chiaro di luna o i propri familiari. La semplicità racchiusa in ogni momento, che col tempo ha però dimenticato. La moglie Margaret, invece, sviluppa negli anni un'enorme frustrazione nei confronti del marito. Questo, pensa dentro di sé, non le ha permesso di realizzare il suo desiderio di fare carriera, vedere il mondo, trasferirsi in una casa nuova. Insomma, di diventare sé stessa.

Quando, ancora giovanissima, Margaret visitava per la prima volta la casa del marito, però, tutto le sembrava chiaro: “Posso passare il resto della vita Qui”. Dove Qui non è tanto la casa, quanto il presente. Il momento perfetto in cui, per la prima volta, abbracciava il marito in un luogo che sarebbe diventato così significativo per lei. Un attimo vissuto appieno, senza il tempo psicologico. Purtroppo per lei, se ne ricorderà solo alla fine del film, quando, ormai in preda all'alzheimer, avrà una piccola epifania tornando in quello stesso salotto: “Mi ricordo qui. Mi piace qui!”.