Capire gli sconosciuti: il dilemma più difficile
Gli sconosciuti sono semplici e trasparenti: spesso basta un’occhiata per capirli. Noi, al contrario, siamo complessi e sfaccettati: nessuno ci conosce davvero. Ecco, “Il dilemma dello sconosciuto” (2020), un saggio di Malcolm Gladwell, si propone proprio di sfatare questo enorme errore cognitivo che facciamo quotidianamente. Il più delle volte, infatti, siamo portati a pensare che la realtà sia fatta di situazioni bianche e nere, quando a dominare sono infinite tonalità di grigio. Il guaio è che spesso per “far quadrare” le nostre teorie semplicistiche, finiamo per perderci dei particolari cruciali. Un po’ come nel film “Eroe per caso” (1992) con Dustin Hoffman, dove ogni pregiudizio finisce per essere ribaltato quando si scopre che il vero eroe è una persona tutt’altro che eroica.
Già nel sottotitolo, il saggio di Gladwell si fa una domanda centrale: “perché è così difficile capire chi non conosciamo?”. E la risposta più scontata sarebbe proprio che, in effetti, è perché si tratta di persone su cui non sappiamo nulla. Ogni giorno ci sforziamo di far quadrare le nostre teorie sugli altri basate su pochissimi dati. E per il cosiddetto effetto Dunning-Kruger (meno ne sappiamo e più pensiamo di saperne) ci sentiamo degli esperti. Il punto è che anche quando le informazioni in nostro possesso aumentano, sostiene Gladwell, le cose non vanno poi molto meglio. La cosa interessante è che per dimostrare le proprie tesi, il sociologo cita storie di spionaggio, polizia e cronaca: proprio gli ambiti i cui professionisti (crediamo) dovrebbero essere in grado di fiutare una bugia.
PRESUNZIONE DI ONESTA’
Neville Chamberlain incontra Adolf Hitler
Gladwell si chiede come sia possibile che – anche di fronte a prove evidenti – spesso un colpevole fatichi ad essere smascherato. E proprio qui emerge che sono i pregiudizi a deviarci. In primis la presunzione di onestà, che ci porta a pensare che, salvo enormi campanelli d’allarme, di una persona ci si possa fidare. Questo certamente ci aiuta a vivere in società, perché non siamo costretti a guardarci costantemente le spalle da tutti, ma contemporaneamente ci rende vulnerabili. L’esempio più interessante tra quelli citati è forse quello del primo ministro inglese Neville Chamberlain, che incontrò varie volte Hitler senza credere fino in fondo ai suoi piani di conquista. Questo perché, di base, presumeva che “odiasse la guerra come tutti”. Al contrario Churchill lo capì subito, senza bisogno di incontrare il fuhrer di persona.
Un po’ quello che avviene in “Eroe per caso”. Nel film Dustin Hoffman interpreta un individuo cinico e apparentemente egoista che ha alcuni problemi con la legge. Una sera un aereo gli precipita di fronte e, a sorpresa, l’uomo sceglie di aiutare i passeggeri portandone in salvo molti. Quando i giornali si mettono alla caccia dell’eroe misterioso, però, a farsi avanti è un senzatetto pieno di sani principi e belle parole. Neanche a dirlo, tutti gli credono immediatamente, fino a farne una celebrità.
TRASPARENZA OPACA
Media e senso comune ci hanno abituati a pensare che a determinati stati d’animo corrispondano sempre specifiche espressioni facciali e precisi atteggiamenti corporei. Osservando questi, pensiamo, sarà più facile capire davvero una persona.
Sei felice? Sorridi.
Sei sorpreso? Hai la bocca spalancata e gli occhi sgranati.
Stai mentendo? Sei agitato e hai certamente uno sguardo sfuggente.
La verità, ci ricorda Gladwell, è che gli esseri umani non sono delle emoticon e ciascuno di noi manifesta i propri sentimenti in maniera del tutto personale. Non ci credete? Causando in alcune persone una forte sorpresa e fotografandole, gli psicologi tedeschi Achim Axhutzwohl e Rainer Raisenzein hanno scoperto che solo il 5% di loro aveva la classica espressione che tutti noi associamo a questo sentimento. Non vi basta? Sottoponendo le foto di alcune espressioni facciali per noi scontate (felicità, paura ecc…) ad alcuni indigeni del Pacifico, degli antropologi hanno scoperto che questi non erano in grado di riconoscerne molte. In altre parole il fatto che siamo abituati ad associare espressioni facciali a emozioni specifiche non prova nulla, di fronte a chi non conosciamo. Per questo Gladwell sostiene che nessuno di noi sia al 100% trasparente.
Una dinamica che compare anche in “Eroe per caso”. L’atteggiamento sfuggente e costantemente nervoso del cinico Dustin Hoffman (per il senso comune) non si sposano con il suo gesto eroico: per questo nessuno crede che sia stato lui a salvare i passeggeri dell’aereo precipitato. Viceversa lo sguardo languido e i discorsi rassicuranti del senzatetto che prende il suo posto convincono tutti.
L’OCCASIONE FA L’UOMO LADRO
Giudicare come sono fatti gli altri a partire da qualche informazione sommaria, l’abbiamo capito, porta spesso a prendere degli abbagli. Ma che dire delle loro azioni? Anche qui Gladwell ci stupisce con la teoria dell’accoppiamento: affinché una persona faccia una determinata cosa non basta l’intenzione, ma servono anche una situazione e un momento adatti. Come si dice, “l’occasione fa l’uomo ladro”. Partendo dall’esempio delle vecchie cucine britanniche, i cui forni a gas erano molto pericolosi, Gladwell ci racconta di come la semplice eliminazione di questa tecnologia abbia ridotto enormemente i suicidi in Gran Bretagna negli anni ’60. In altre parole - una volta eliminati i pericolosi forni - chi intendeva suicidarsi non ha semplicemente cercato un altro modo per uccidersi: in molti casi ha scelto di non farlo. La loro sola esistenza, insomma, era un grande incentivo. Una prova che persino in questi casi l’intenzione non basta, ma serve anche una buona occasione prima di agire.
Tuttavia, come ci insegna “Eroe per caso”, c’è sempre un altro lato della medaglia. L’occasione non fa solo l’uomo ladro, ma anche eroe. Forse, come sostiene Gladwell, il nostro aspetto e i nostri piccoli atteggiamenti non dicono realmente chi siamo. Ma a volte sono le azioni (eroiche o meno) a parlare: anche quando gli altri non le notano.